martedì 26 novembre 2013

esortazione apostolica «Evangelii gaudium» del Santo Padre Francesco

Ecco realizzato l’ebook dell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, pubblicata oggi da Papa Francesco.


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Questo post è stato pubblicato da: Davide   www.cammino.info/

EVANGELII GAUDIUM – Vatican.va


Questi sono i link per scaricare il documendo di Papa Francesco direttamente dal sito del Vaticano:

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da Radio Vaticana – di Sergio Centofanti
“La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù”: inizia così l’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”, pubblicata oggi, con cui Papa Francesco sviluppa il tema dell’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, raccogliendo, tra l’altro, il contributo dei lavori del Sinodo che si è svolto in Vaticano dal 7 al 28 ottobre 2012 sul tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede”. La sintesi di questo importante documento nel servizio di Sergio Centofanti.
Con questa Esortazione, il Papa indica alcune “vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni”. Ne segnaliamo cinque. Innanzitutto, intende avviare “una nuova tappa evangelizzatrice” caratterizzata dalla gioia. E’ un accorato appello a tutti i battezzati perché con nuovo fervore e dinamismo portino agli altri l’amore di Gesù che sperimentano nella loro vita, la gioia e la bellezza della sua amicizia, in uno “stato permanente di missione”. I cristiani sono chiamati ad essere “evangelizzatori con Spirito” che “pregano e lavorano”: sulla loro bocca deve risuonare il primo annuncio o ‘kerygma’: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti”.
Secondo punto: rinnovamento con creatività e audacia, a partire dal recupero della “freschezza originale del Vangelo”. Occorre “una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno”, e una “riforma delle strutture” ecclesiali perché “diventino tutte più missionarie”. Il Pontefice pensa anche ad “una conversione del papato” sulla via di una maggiore collegialità e di una “salutare decentralizzazione”. Bisogna trovare “nuove strade” e “metodi creativi”, non avere paura di rivedere consuetudini e norme della Chiesa che non sono “direttamente legate al nucleo del Vangelo, alcune molto radicate nel corso della storia”. Sottolinea la necessità di far crescere la responsabilità dei laici, tenuti “al margine delle decisioni” da “un eccessivo clericalismo”, e di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa”, in particolare “nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti”.
Terzo punto: una Chiesa aperta, accogliente e misericordiosa. Il Papa invita la Chiesa ad avere “le porte aperte”. La Chiesa è il luogo della misericordia non della condanna, perché Dio non si stanca mai di perdonare. “Nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi”. Così, l’Eucaristia “non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. La Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa”. Papa Francesco ribadisce di preferire una Chiesa “ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa … rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci … è che tanti nostri fratelli vivono” senza l’amicizia di Gesù. L’annuncio del Vangelo deve avere caratteristiche positive: vicinanza, rispetto, compassione, pazienza per la fatica di un cammino di maturazione. Anche le omelie dei sacerdoti devono rifuggire da una “predicazione puramente moralista o indottrinante” ed essere positive per non lasciare “prigionieri della negatività”, ma offrire “sempre speranza”, riuscendo a dire “parole che fanno ardere i cuori”.
Quarto punto. Il dialogo e l’incontro: con gli altri cristiani (l’ecumenismo è “una via imprescindibile dell’evangelizzazione”), con le altre religioni (“condizione necessaria per la pace nel mondo”) e con i non credenti. Il dialogo va condotto “con un’identità chiara e gioiosa”: non oscura l’evangelizzazione. In particolare, il Papa osserva che “in quest’epoca acquista notevole importanza la relazione” con i musulmani. Implora “umilmente” i Paesi di tradizione islamica perché garantiscano la libertà religiosa ai cristiani, anche “tenendo conto della libertà che i credenti dell’Islam godono nei Paesi occidentali!”. Contro il tentativo di privatizzare le religioni, afferma che “il rispetto dovuto alle minoranze di agnostici o di non credenti” non deve mettere “a tacere le convinzioni di maggioranze credenti”.
Quinto punto. La Chiesa sia voce profetica, capace di parlare “con audacia … anche controcorrente”. Ribadisce l’opzione della Chiesa per i poveri. Il Papa chiede “una Chiesa povera per i poveri”. Denuncia l’attuale sistema economico che “è ingiusto alla radice”. “Questa economia uccide” perché prevale la “legge del più forte”. L’attuale cultura dello “scarto” ha creato “qualcosa di nuovo”: “gli esclusi non sono ‘sfruttati’ ma rifiuti, ‘avanzi’”. Le comunità cristiane che si dimenticano dei poveri sono destinate alla dissoluzione. “Tra questi deboli di cui la Chiesa vuole prendersi cura” ci sono “i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti … Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana”. La famiglia – prosegue il Papa – “attraversa una crisi culturale profonda” che “favorisce uno stile di vita … che snatura i vincoli familiari”. Denuncia le “nuove situazioni di persecuzione dei cristiani”.
L’Esortazione si conclude con una preghiera a Maria “Madre dell’Evangelizzazione”. Guardando alla Madre di Dio “torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto”.
Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/11/26/una_chiesa_dalle_porte_aperte:_pubblicata_lesortazione_apostolica/it1-750040 
del sito Radio Vaticana.


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Come in alta montagnada KAIRòS

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Presentata alla stampa internazionale l’«Evangelii gaudium».

La Sala stampa della Santa Sede gremita in ogni ordine di posto e tre arcivescovi al tavolo degli oratori sono gli elementi del primo e più eloquente commento all’esortazione apostolica Evangelii gaudium di Papa Francesco, presentata ai giornalisti questa mattina, martedì 26. O almeno è stata l’indicazione di quanto alta sia l’attenzione con la quale i media di tutto il mondo seguono il magistero di Papa Francesco. Indicazione evidente innanzitutto per la qualità dell’attenzione con la quale i numerosi rappresentanti del mondo della comunicazione hanno seguito gli impegnativi interventi dell’arcivescovo Rino Fisichella prima, dell’arcivescovo Lorenzo Baldisseri subito dopo e infine dell’arcivescovo Claudio Maria Celli.
Ma è stato soprattutto il fervore che si è notato nella sala riservata ai giornalisti accreditati, piena come solo accade nei grandi momenti della vita della Chiesa di Roma. E proprio dalla perecezione che ne ha avuto chi, per mestiere, comunica e informa è possibile avere un’idea, un po’ particolare forse, dell’impatto che il documento papale potrà avere su una comunità comunque rappresentativa dell’opinione pubblica internazionale. Ed è interessante notare che, almeno dalle impressioni registrate tra la gran parte dei giornalisti ascoltati, l’esortazione sembra destinata a suscitare una rinnovata gioia. E non solo tra credenti.
Sébastien Maillard, inviato de «la Croix», confessa di essere rimasto impressionato proprio «dalla gioia profonda che scaturisce da questo testo. Una gioia che io stesso ho provato a lettura ultimata. E sono rimasto sorpreso da quel rinnovato entusiasmo che ho percepito in me». Quanto alle attese dei francesi Maillard crede che «capiranno una volta per tutte che Papa Francesco propone un cristianesimo creativo».
Di gioia parla anche Gian Guido Vecchi, del «Corriere della Sera». «Come cristiano, prima che come giornalista, ho provato tanta gioia nel leggere queste pagine. Ho provato quella sensazione meravigliosa che si avverte quando in alta montagna respiri a pieni polmoni». Quanto al documento, lo ritiene «la summa di questi primi otto mesi del magistero di Papa Francesco, espressa con quel suo personalissimo stile comunicativo, fatto di un linguaggio semplice, arricchito da tanti esempi ma non per questo meno profondo. È un testo da meditare per cogliere alcune linee fondamentali. Quando, per esempio, Francesco chiede alla Chiesa una profonda conversione, confessa subito che questa conversione deve iniziare da lui stesso, dal Papa, e proseguire poi attraverso l’episcopato, il clero e via via sino a coinvolgere tutta la Chiesa. Non si sottrae, si mette in gioco per primo. È lo specchio di quella Chiesa aperta a tutti che va predicando».
E c’è anche chi davanti a questo specchio scopre le proprie debolezze. «La prima riflessione che ho fatto a lettura conclusa, ha riguardato il mio modo di essere stato cristiano in questi anni. E mi sono vergognato di me stesso». Non ha remore Salvatore Izzo, vaticanista dell’Agenzia Giornalistica Italia, nel confessare la provocazione suscitata in lui dalla lettura — «tutta d’un fiato nonostante la lunghezza» — dell’esortazione di Papa Francesco. «Ho riscoperto in quelle straordinarie similitudini di cui è ricco Francesco, tanti miei atteggiamenti sbagliati. Ma è altrettanto straordinario il fatto di aver trovato in quelle stesse righe la chiave della speranza cristiana che non può abbandonarci mai. E per dare un’idea complessiva di quanto suscitato in me, credo non ci sia nulla di meglio proprio di quella frase di Bernanos “tutto è grazia”».
Essenziale la lettura che dell’esortazione propone la vaticanista de «Il Messaggero», Franca Giansoldati: «Mi sembra un chiaro invito di Papa Francesco a liberarci di tutta la zavorra che ci portiamo dietro; a mettere benzina nuova nel motore e a trovare il coraggio di liberarci dagli schemi».
C’è anche chi, tra i giornalisti, legge nel documento qualcosa che va oltre l’esortazione apostolica. Ignazio Ingrao, vaticanista di «Panorama», non esita a definire il documento «l’enciclica programmatica di Papa Francesco. Nel leggerla ho avuto la netta sensazione che fosse la naturale prosecuzione della Lumen fidei. Dopo aver stabilito i principi ora offre i mezzi attraverso i quali realizzarli. È come se avesse indicato il programma della Chiesa per i prossimi decenni».
Anche per la vaticanista dell’Ansa, Giovanna Chirri, «il lungo documento del Papa è il manifesto programmatico del suo pontificato. Sono rimasta stupita perché non mi aspettavo di trovarmi davanti a un documento di questo spessore».
Stessa opinione per Antonio Pelayo, vaticanista della rete televisiva spagnola Antena3. «C’è scritto esortazione apostolica, ma per me è una vera e propria enciclica di Papa Francesco. Mi ha sorpreso, ancora una volta, la sua capacità di voler a tutti i costi sperimentare il suo sogno di una Chiesa senza potere, che non è ossessionata dai suoi problemi. Per i fedeli spagnoli sarà l’ennesima conferma della prossimità e della positività di questo Pontefice. Saranno forse un po’ meno contenti i circoli dei finanzieri e di quelli che speculano sull’economia».
Una lezione «sul come guardare alla vita della Chiesa tra i fedeli». Fabio Zavattaro, vaticanista del Tg 1 della televisione italiana, vede nell’esortazione la naturale continuazione dei documenti conciliari. «Come cristiano — aggiunge — mi sono sentito sollecitato a riscoprire il senso vero dell’incontro con l’altro, dell’attenzione sincera dovuta ai poveri e della solidarietà intesa come prossimità con il bisognoso. Anche di affetto».
Di «enciclica sotto falso nome» parla infine anche Antoine-Marie Izoard dell’agenzia I.Media. «È un vero e proprio programma di governo scritto in un linguaggio affascinmante ma che lascia intendere riforme ad ampio respiro. Personalmente sono rimasto colpito dal continuo riferimento agli episcopati locali: è la testimonianza del concetto vero di governo universale».

L'Osservatore Romano

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Evangelii Gaudium, la Chiesa è missionaria o non è


di Massimo Introvigne
Formalmente datata 24 novembre 2013, giorno della chiusura dell’Anno delle fede, l’esortazione apostolica di Papa Francesco «Evangelii gaudium», che fa seguito al Sinodo del 2012 sulla nuova evangelizzazione, è stata pubblicata martedì 26 novembre. Quest’ampio documento – salvo errori, il più lungo (220 pagine) nell’intera storia delle encicliche e delle esortazioni apostoliche pontificie –, è una vera piccola – ma non piccolissima – enciclopedia sull’evangelizzazione. Il Papa afferma di essere consapevole di una mole forse «eccessiva» e che «oggi i documenti non destano lo stesso interesse che in altre epoche, e sono rapidamente dimenticati». Ma considera essenziali i temi trattati, e a tutti chiede un serio studio del testo.
Proprio il suo carattere enciclopedico si presta facilmente a letture parziali – chi avrà tempo di leggerlo tutto? – e anche deformate. A seconda dei gusti, s’insisterà sulla nozione di «gerarchia delle verità» e sull’invito a partire nell’evangelizzazione dall’annuncio della misericordia di Dio – che impone, afferma Francesco, una riflessione attenta quando si tratta di negare la comunione a certe categorie di peccatori – anziché dai precetti morali, accompagnato da una rinnovata critica dei «pelagiani» che pensano di salvarsi attraverso un rigorismo legato a forme e schemi del passato. Oppure, al contrario, si darà spazio alla forte denuncia del relativismo – compreso quello dei cattolici che occultano la loro identità cristiana per un complesso d’inferiorità nei confronti della cultura dominante –, con ampie citazioni di Benedetto XVI, alla difesa della famiglia, alla condanna davvero durissima dell’aborto con la chiara affermazione che su questo punto – come su quello che nega il sacerdozio alle donne – la dottrina della Chiesa non cambia e non può cambiare.
Ma qualunque lettura parziale e frettolosa, che cerca di estrarre dal documento qualche frase o paragrafo con cui ci si sente più in sintonia, è sbagliata. Il testo ha una sua architettura precisa, che dev’essere seguita. Consta di cinque parti, attraverso cui scopriamo come il cristianesimo o è missionario o non è, affrontiamo gli ostacoli che si frappongono oggi alla missione, dall’interno e dall’esterno della Chiesa, studiamo le modalità della nuova evangelizzazione, ne esaminiamo le conseguenze – che non sono facoltative – sul piano della dottrina sociale, e infine siamo richiamati alla dimensione spirituale che è l’anima e il segreto di ogni apostolato. Piccola enciclopedia, sì, ma su un tema preciso: la nuova evangelizzazione, di cui vuole essere una trattazione completa e un manuale denso d’indicazioni spirituali, pastorali e pratiche.
Prima dei cinque capitoli il testo ha una parte introduttiva, che non è pleonastica, e che insiste sulla gioia cristiana, che diventa «la dolce e confortante gioia di evangelizzare», un’espressione del venerabile Paolo VI (1897-1978) che Francesco ha citato più volte e che qui traduce nel suo linguaggio caratteristico: «un evangelizzatore non dovrebbe avere costantemente una faccia da funerale». Papa Francesco cita pure ancora una volta un’espressione di Benedetto XVI secondo cui «la Chiesa non cresce per proselitismo» – un’espressione che nel Magistero recente non indica la missione, ma le sue modalità aggressive e poco rispettose del cammino delle persone – ma «per attrazione». In nessun modo la critica del proselitismo deve però portarci a «perdere la tensione per l’annunzio […] perché questo è il compito primo della Chiesa.»
Il primo capitolo ci parla di una Chiesa che o è missionaria o non è. In un momento in cui si parla tanto di riforme, il Papa afferma che nella Chiesa ogni riforma non può che essere un ritorno alla centralità di Gesù Cristo e della missione, senza la quale «qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo». Francesco cita il beato Giovanni Paolo II (1920-2005): «Ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale». Mentre il Papato stesso cerca – sono ancora parole di Papa Wojtyla – «una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova», la Santa Sede deve affrontare il grave problema della comunicazione, in un contesto dove a causa della «selezione interessata dei contenuti operata dai media, il messaggio che annunciamo corre più che mai il rischio di apparire mutilato».
Francesco ripete che, se è vero che tutte le verità vanno «credute con la medesima fede» e «non bisogna mutilare l’integralità del messaggio del Vangelo», tra le verità c’è una gerarchia e nell’evangelizzazione l’annuncio della misericordia divina deve venire prima di quello dei precetti etici. L’Eucaristia, poi, «sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli»: la Chiesa «non è una dogana», e priva le persone dell’assoluzione e dei sacramenti solo per buone ragioni e non «per una ragione qualsiasi».
Il secondo capitolo presenta gli ostacoli all’evangelizzazione, sempre suscitati dallo «spirito cattivo», il Diavolo. Alcuni sono esterni alla Chiesa, e derivano sia dall’attenzione ossessiva all’economia di una «cultura del benessere» che liquida i poveri, i malati, gli anziani come scarti di produzione, sia dal relativismo e dal rifiuto «beffardo» di «norme morali oggettive, valide per tutti», sulla cui esistenza la Chiesa non rinuncia a «insistere». Il relativismo, con la sua «tremenda superficialità» sulle «questioni morali», non danneggia solo la religione «ma la vita sociale in genere». Nei Paesi in via di sviluppo si rinnovano «situazioni di persecuzione dei cristiani», mentre proliferano «nuovi movimenti religiosi» che si presentano a colmare i vuoti lasciati dalla propaganda dell’ateismo e talora da un cristianesimo poco efficace. In Occidente un laicismo aggressivo vuole «ridurre la fede e la Chiesa all’ambito privato e intimo», e negare ai Pastori il diritto di levare la loro voce in difesa di un’antropologia che è naturale prima che cristiana, specie in tema di famiglia e di matrimonio. Papa Francesco cita qui il documento dei Vescovi francesi, pubblicato prima dell’approvazione della legge sul «matrimonio» omosessuale e critico nei confronti di quella legge, il quale insegna che il matrimonio non nasce «dal sentimento amoroso, effimero per definizione, ma dalla profondità dell’impegno assunto dagli sposi».
«L’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile di vita che indebolisce lo sviluppo e la stabilità dei legami tra le persone, e che snatura i vincoli familiari». E tuttavia, anche in Occidente, rimane – al di là della partecipazione alla vita della Chiesa – «una cultura segnata dalla fede», che talora si manifesta ancora «dinanzi agli attacchi del secolarismo attuale, con reazioni vigorose e impreviste. Segnali positivi, ma molto rimane da fare. Troppi cattolici, compresi sacerdoti e religiosi, passano troppo tempo a seguire la «cultura mediatica», finendo per assorbire «una marcata sfiducia nei confronti del messaggio della Chiesa» e per sviluppare «una sorta di complesso di inferiorità, che li conduce a relativizzare o ad occultare la loro identità cristiana e le loro convinzioni», cedendo al «relativismo» in «una specie di ossessione per essere come tutti gli altri».
Due sono le tentazioni più gravi oggi, afferma l’esortazione: la convinzione che, comunque sia, su certe battaglie abbiamo già perso, «il senso di sconfitta, che ci trasforma in pessimisti scontenti e disincantati dalla faccia scura», e la mondanità spirituale – di cui Papa Francesco parla spesso – che non è il gusto del lusso e delle ricchezze (quella è la mondanità materiale) ma il fare il bene in nome dell’uomo e non in nome di Dio. A ben vedere – anche qui il Papa ripete temi già illustrati in precedenza – sia i «nuovi gnostici», che si presentano come moderni e aggiornati, sia i «nuovi pelagiani», i quali pensano che la fedeltà da «museo» a «un certo stile cattolico proprio del passato», basti di per sé alla salvezza, sono vittima della mondanità spirituale.
Dalla mondanità spirituale nascono poi conflitti continui nella Chiesa, tra cui quelli promossi in nome dei diritti delle donne. Il Papa è disponibile a ogni valorizzazione del ruolo della donna nella Chiesa, ma ricorda pure che «il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione».
Il terzo capitolo dell’esortazione apostolica presenta la natura dell’evangelizzazione, il cui soggetto è la Chiesa. Tra i vari strumenti di evangelizzazione, numerose pagine sono dedicate alle omelie, perché – scrive Francesco – oggi «molti sono i reclami in relazione a questo importante ministero e non possiamo chiudere le orecchie». Gli accenti sono molto severi contro chi riduce l’omelia a «uno spettacolo di intrattenimento» o scimmiotta i «programmi televisivi». Il sacerdote che predica deve prepararsi bene, altrimenti «è disonesto ed irresponsabile», e deve avere un vero «culto della verità», «con un santo timore di manipolarla» e di annunciare un messaggio proprio anziché quello della Scrittura e della Chiesa, vivendo la preparazione all’omelia nella preghiera e nella vita spirituale. Diversamente «sarà un falso profeta, un truffatore o un vuoto ciarlatano».
Dopo l’omelia, il testo tratta della catechesi, insistendo sul primo annuncio – «Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco» – e sull’opportunità di utilizzare oggi «la via della bellezza» tanto cara a Benedetto XVI, evangelizzando attraverso l’arte, antica e moderna, sempre attenti però a non «fomentare un relativismo estetico, che possa oscurare il legame inseparabile tra verità, bontà e bellezza».
Il quarto capitolo presenta le conseguenze sociali dell’evangelizzazione, di cui la dottrina sociale della Chiesa è parte integrante e non facoltativa. Il Papa ne richiama due aspetti: l’inclusione sociale dei poveri di fronte a un nuovo «individualismo edonista pagano» – affermando pure «con dolore che la peggior discriminazione di cui soffrono i poveri», e di cui sono responsabili tanti cattolici, «è la mancanza di attenzione spirituale», come se avessero diritto solo agli aiuti materiali e non al Vangelo – e la pace sociale. «La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune». Il documento mette in guardia contro un «populismo irresponsabile» che rifiuta la politica e propone soluzioni demagogiche per l’economia.
Quando si parla di deboli e di ultimi, non si deve mai dimenticare che tra loro «ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo». Spesso si cerca di «ridicolizzare allegramente la difesa che la Chiesa fa delle vite dei nascituri». Ma la violazione del diritto alla vita «grida vendetta al cospetto di Dio e si configura come offesa al Creatore dell’uomo». Sbaglia di grosso, precisa Papa Francesco, chi si aspetta «che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione. Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a “modernizzazioni”. Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana».
Il secondo aspetto della dottrina sociale che Papa Francesco sviluppa – con accenti e con una trattazione originale – nell’esortazione apostolica è la nozione di pace sociale, che riposa su quattro principi della dottrina sociale della Chiesa. Il primo, già sviluppato nell’enciclica «Lumen fidei», è che «il tempo è superiore allo spazio»: non dobbiamo mai credere che un certo esito di ogni dibattito sociale sia già precostituito e inevitabile. Il secondo è che «l’unità prevale sul conflitto». Il terzo, per evitare ogni utopismo e nominalismo, è che «la realtà è più importante dell’idea». Il quarto è che «il tutto è superiore alla parte», un principio che aiuta a vivere nella globalizzazione senza perdere le proprie tradizioni e radici. «Il modello non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità».
La Chiesa testimonia questi principi nel dialogo con gli uomini di scienza, che richiama alla «legge naturale, affinché rispettino sempre la centralità e il valore supremo della persona umana in tutte le fasi della sua esistenza», e nel dialogo ecumenico e interreligioso con le altre confessioni e religioni, che il Papa giudica indispensabile ma invita a non confondere con un «sincretismo conciliante» e con un’errata rinuncia all’annuncio missionario. E questo vale in particolare nel dialogo con i Paesi musulmani, cui il Papa rivolge un appello – assicurando che da parte cattolica si eviteranno «odiose generalizzazioni» che fanno di ogni musulmano un terrorista – «affinché assicurino libertà ai cristiani affinché possano celebrare il loro culto e vivere la loro fede, tenendo conto della libertà che i credenti dell’Islam godono nei paesi occidentali!». Il punto esclamativo sottolinea l’accenno, com’è noto non proprio gradito a molti musulmani, alla reciprocità.
Non solo ai musulmani il Pontefice ricorda poi che la libertà religiosa «non implica una privatizzazione delle religioni, con la pretesa di ridurle al silenzio e all’oscurità della coscienza di ciascuno», e che «il rispetto dovuto alle minoranze di agnostici o di non credenti non deve imporsi in un modo arbitrario che metta a tacere le convinzioni di maggioranze credenti o ignori la ricchezza delle tradizioni religiose».
La quinta parte del testo presenta le radici spirituali dell’evangelizzazione. Dobbiamo convincerci che «la verità […] non passa di moda» e che «la nostra tristezza infinita si cura soltanto con un infinito amore». A un mondo relativista, il Papa ripete che «non è la stessa cosa aver conosciuto Gesù o non conoscerlo, non è la stessa cosa camminare con Lui o camminare a tentoni».
Ma perché evangelizziamo? La risposta corretta è che lo facciamo per la maggior gloria di Dio: «questo è il movente definitivo, il più profondo, il più grande, la ragione e il senso ultimo di tutto il resto». Comprendiamo allora che la missione «non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo». A chi obietta che la missione oggi non dà risultati, Francesco risponde che la sua fecondità «molte volte è invisibile, inafferrabile, non può essere contabilizzata». «Forse il Signore si avvale del nostro impegno per riversare benedizioni in un altro luogo del mondo dove non andremo mai. Lo Spirito Santo opera come vuole, quando vuole e dove vuole». Lo sapeva bene Maria Santissima, sublime esempio di libertà dall’esito. Preghiamo dunque la Madonna «perché la gioia del Vangelo giunga sino ai confini della terra e nessuna periferia sia priva della sua luce».


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La Madre dell’evangelizzazione


Rubens
da l’Esortazione Apostolica EVANGELII GAUDIUM del Santo Padre FRANCESCO
[...] Vi è uno stile mariano nell’attività evangelizzatrice della Chiesa. Perché ogni volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto. In lei vediamo che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, che non hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti.
Guardando a lei scopriamo che colei che lodava Dio perché « ha rovesciato i potenti dai troni » e « ha rimandato i ricchi a mani vuote » (Lc 1,52.53) è la stessa che assicura calore domestico alla nostra ricerca di giustizia. È anche colei che conserva premurosamente « tutte queste cose, meditandole nel suo cuore » (Lc 2,19). Maria sa riconoscere le orme dello Spirito di Dio nei grandi avvenimenti ed anche in quelli che sembrano impercettibili. È contemplativa del mistero di Dio nel mondo, nella storia e nella vita quotidiana di ciascuno e di tutti.
È la donna orante e lavoratrice a Nazaret, ed è anche nostra Signora della premura, colei che parte dal suo villaggio per aiutare gli altri « senza indugio » (Lc 1,39). Questa dinamica di giustizia e di tenerezza, di contemplazione e di cammino verso gli altri, è ciò che fa di lei un modello ecclesiale per l’evangelizzazione. Le chiediamo che con la sua preghiera materna ci aiuti affinché la Chiesa diventi una casa per molti, una madre per tutti i popoli e renda possibile la nascita di un mondo nuovo.
È il Risorto che ci dice, con una potenza che ci riempie di immensa fiducia e di fermissima speranza: « Io faccio nuove tutte le cose » (Ap 21,5). Con Maria avanziamo fiduciosi verso questa promessa, e diciamole:
Vergine e Madre Maria,

tu che, mossa dallo Spirito,
hai accolto il Verbo della vita
nella profondità della tua umile fede,
totalmente donata all’Eterno,
aiutaci a dire il nostro “sì”
nell’urgenza, più imperiosa che mai,
di far risuonare la Buona Notizia di Gesù.
Tu, ricolma della presenza di Cristo,

hai portato la gioia a Giovanni il Battista,
facendolo esultare nel seno di sua madre.
Tu, trasalendo di giubilo,
hai cantato le meraviglie del Signore.
Tu, che rimanesti ferma davanti alla Croce
con una fede incrollabile,
e ricevesti la gioiosa consolazione della risurrezione,
hai radunato i discepoli nell’attesa dello Spirito
perché nascesse la Chiesa evangelizzatrice.
Ottienici ora un nuovo ardore di risorti

per portare a tutti il Vangelo della vita
che vince la morte.
Dacci la santa audacia di cercare nuove strade
perché giunga a tutti
il dono della bellezza che non si spegne.
Tu, Vergine dell’ascolto e della contemplazione,

madre dell’amore, sposa delle nozze eterne,
intercedi per la Chiesa, della quale sei l’icona purissima,
perché mai si rinchiuda e mai si fermi
nella sua passione per instaurare il Regno.
Stella della nuova evangelizzazione,

aiutaci a risplendere nella testimonianza della comunione,
del servizio, della fede ardente e generosa,
della giustizia e dell’amore verso i poveri,
perché la gioia del Vangelo
giunga sino ai confini della terra
e nessuna periferia sia priva della sua luce.
Madre del Vangelo vivente,

sorgente di gioia per i piccoli,
prega per noi.
Amen. Alleluia.
FRANCISCUS

fonte> vatican.va
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Papa Francesco: «Così si fa una predica»

da KAIRòS
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Ben 18 pagine della nuova esortazione apostolica sull'evangelizzazione sono dedicate all'omelia e alla sua preparazione: per Francesco è parte integrante dell'annuncio, punto fondamentale nel rapporto tra clero e fedeli

ANDREA TORNIELLI
«Chiunque voglia predicare, prima dev’essere disposto a lasciarsi commuovere dalla Parola e a farla diventare carne nella sua esistenza concreta». Ruotano attorno a questa affermazione le diciotto pagine dell'esortazione apostolica «Evangelii gaudium» dedicate all'omelia della messa domenicale e alla sua preparazione. Uno spazio considerevole, che attesta la preoccupazione del Papa per il «ministero» della predicazione, parte integrante dell'annuncio cristiano e della celebrazione eucaristica: «Mi soffermerò particolarmente, e persino con una certa meticolosità, sull’omelia e la sua preparazione, perché molti sono i reclami in relazione a questo importante ministero e non possiamo chiudere le orecchie. L’omelia è la pietra di paragone per valutare la vicinanza e la capacità d’incontro di un pastore con il suo popolo».

Non si può dimenticare che proprio le omelie, e le omelie quotidiane della messa di Santa Marta, rappresentano una delle novità più significative del pontificato: prediche brevi, efficaci, semplici, immaginifiche, che anche la gente più semplice comprende. Anche se non sono scritte, quelle omelie del magistero «giorno per giorno», sono il frutto di una lunga meditazione mattutina sulle Letture, che Francesco compie svegliandosi prima dell'alba.

Francesco ricorda che la predica durante la messa «non è tanto un momento di meditazione e di catechesi, ma è il dialogo di Dio col suo popolo», che «l’omelia non può essere uno spettacolo di intrattenimento, non risponde alla logica delle risorse mediatiche, ma deve dare fervore e significato alla celebrazione» e dunque «deve essere breve ed evitare di sembrare una conferenza o una lezione», per non danneggiare «l'armonia» tra le varie parti della messa. Il Papa invita il predicatore a parlare «come una madre che parla a suo figlio», «mediante la vicinanza cordiale» di chi predica, «il calore del suo tono di voce, la mansuetudine dello stile delle sue frasi, la gioia dei suoi gesti». Spiega che «la predicazione puramente moralista o indottrinante, ed anche quella che si trasforma in una lezione di esegesi, riducono questa comunicazione tra i cuori che si dà nell’omelia». Nell’omelia infatti «la verità si accompagna alla bellezza e al bene. Non si tratta di verità astratte o di freddi sillogismi, perché si comunica anche la bellezza delle immagini che il Signore utilizzava per stimolare la pratica del bene».

Chi predica deve trasmettere «la sintesi del messaggio evangelico», non «idee o valori slegati. Dove sta la tua sintesi, lì sta il tuo cuore. La differenza tra far luce sulla sintesi e far luce su idee slegate tra loro è la stessa che c’è tra la noia e l’ardore del cuore. Il predicatore ha la bellissima e difficile missione di unire i cuori che si amano: quello del Signore e quelli del suo popolo».

Venendo più nel concreto della preparazione dell'omelia, Francesco chiede che a questo si dedichi «un tempo prolungato di studio, preghiera, riflessione e creatività pastorale», nonostante le tante incombenze che gravano su un parroco: «Un predicatore che non si prepara non è “spirituale”, è disonesto ed irresponsabile verso i doni che ha ricevuto».

Bisogna «prestare tutta l’attenzione al testo biblico, che dev’essere il fondamento della predicazione»; la Parola va venerata e studiata «con la massima attenzione e con un santo timore di manipolarla», occorre pazienza e «abbandonare ogni ansietà». La preparazione della predicazione «richiede amore. Si dedica un tempo gratuito e senza fretta unicamente alle cose o alle persone che si amano; e qui si tratta di amare Dio che ha voluto parlare».

È poi importante cogliere il messaggio centrale del testo. «Se un testo è stato scritto per consolare, non dovrebbe essere utilizzato per correggere errori; se è stato scritto per esortare, non dovrebbe essere utilizzato per istruire; se è stato scritto per insegnare qualcosa su Dio, non dovrebbe essere utilizzato per spiegare diverse idee teologiche; se è stato scritto per motivare la lode o il compito missionario, non utilizziamolo per informare circa le ultime notizie». Inoltre, bisogna saper presentare il testo in piena armonia con tutto il messaggio cristiano, pur senza «indebolire l’accento proprio e specifico del testo che si deve predicare».

«Chiunque voglia predicare, prima dev’essere disposto a lasciarsi commuovere dalla Parola e a farla diventare carne nella sua esistenza concreta. In questo modo, la predicazione consisterà in quell’attività tanto intensa e feconda che è "comunicare agli altri ciò che uno ha contemplato"», come scriveva sanTommaso. Dio vuole utilizzare i predicatori «come esseri vivi, liberi e creativi, che si lasciano penetrare dalla sua Parola prima di trasmetterla; il suo messaggio deve passare realmente attraverso il predicatore, ma non solo attraverso la ragione, ma prendendo possesso di tutto il suo essere».

Francesco parla poi dell'importanza della «lectio divina», la lettura spirituale di un testo a partire dal suo significato letterale, per non far «dire al testo quello che conviene, quello che serve per confermare le proprie decisioni, quello che si adatta ai propri schemi mentali. Questo, in definitiva, sarebbe utilizzare qualcosa di sacro a proprio vantaggio e trasferire tale confusione al popolo di Dio». Per far questo, bisogna che il sacerdote si domandi: «Signore, che cosa dice a me questo testo? Che cosa vuoi cambiare della mia vita con questo messaggio? Che cosa mi dà fastidio in questo testo? Perché questo non mi interessa?», oppure: «Che cosa mi piace, che cosa mi stimola in questa Parola? Che cosa mi attrae? Perché mi attrae?». Evitando anche la tentazione «molto comune» di «pensare quello che il testo dice agli altri, per evitare di applicarlo alla propria vita».


Chi predica «deve anche porsi in ascolto del popolo, per scoprire quello che i fedeli hanno bisogno di sentirsi dire. Un predicatore è un contemplativo della Parola ed anche un contemplativo del popolo». Deve collegare «il messaggio del testo biblico con una situazione umana», con qualcosa che le persone vivono. «Questa preoccupazione non risponde a un atteggiamento opportunista o diplomatico, ma è profondamente religiosa e pastorale». Non occorre «offrire cronache dell’attualità per suscitare interesse: per questo ci sono già i programmi televisivi», ma è comunque «possibile prendere le mosse da qualche fatto affinché la Parola possa risuonare con forza nel suo invito alla conversione, all’adorazione, ad atteggiamenti concreti di fraternità e di servizio».

Oltre al contenuto, è importante anche il modo di trasmetterlo. «Alcuni credono di poter essere buoni predicatori - scrive il Papa - perché sanno quello che devono dire, però trascurano il come, il modo concreto di sviluppare una predicazione. Si arrabbiano quando gli altri non li ascoltano o non li apprezzano, ma forse non si sono impegnati a cercare il modo adeguato di presentare il messaggio».

Per rendere più ricca e attraente un'omelia, Francesco suggerisce di «imparare ad usare immagini, vale a dire a parlare con immagini». E il linguaggio deve essere semplice: «Dev’essere il linguaggio che i destinatari comprendono per non correre il rischio di parlare a vuoto. Frequentemente accade che i predicatori si servono di parole che hanno appreso durante i loro studi e in determinati ambienti, ma che non fanno parte del linguaggio comune delle persone che li ascoltano». Per poter parlare alle persone «si deve ascoltare molto», bisogna «condividere la vita della gente e prestarvi volentieri attenzione». Bergoglio spiega poi che semplicità e chiarezza non sono la stessa cosa, e che si può parlar semplice come linguaggio, ma  non essere chiari per mancanza di ordine, di logica, di unità tematica.

Il linguaggio poi deve essere «positivo»: «Non dice tanto quello che non si deve fare ma piuttosto propone quello che possiamo fare meglio. In ogni caso, se indica qualcosa di negativo, cerca sempre di mostrare anche un valore positivo che attragga, per non fermarsi alla lagnanza, al lamento, alla critica o al rimorso».


Sacerdoti e predicatori hanno dunque a disposizione un dettagliato vademecum per preparare l'omelia. E hanno soprattutto nel Papa un esempio quotidiano a cui fare riferimento.



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“Le Monde” - Rassegna "Fine settimana"
(Stéphanie Le Bars) In “Evangelii Gaudium”, primo testo ufficiale scritto di suo pugno, Francesco promuove “una Chiesa povera per i poveri”. Ci sono stati i gesti inediti, i discorsi fondatori, le battute ad effetto, le interviste senza rete. Il pontificato di papa Francesco (...)

Dal cuore del vescovo di Roma



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(Giovanni Maria Vian) Di nuovo nel titolo di un documento pontificio ricorre la dimensione della gioia, segno caratteristico della testimonianza cristiana. In essa è come racchiuso il Vaticano II, dall’avvio alla conclusione. Con le parole Gaudet mater ecclesia (“gioisce la madre Chiesa”) iniziava infatti il memorabile discorso di apertura con il quale Giovanni XXIII presenta il concilio e Gaudium et spes, la costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, esprimeva nell’incipit la condivisione della gioia e della speranza delle donne e degli uomini del nostro tempo.
Dieci anni dopo la conclusione del Vaticano II, è con l’invito appassionato della Lettera ai filippesi che si apre l’unico testo papale interamente dedicato alla gioia, l’esortazione Gaudete in Domino di Paolo VI: «Rallegratevi nel Signore, perché egli è vicino a quanti lo invocano con cuore sincero». Non è allora un caso che il testo di Montini sia il primo a essere citato da Papa Francesco nella sua Evangelii gaudium, per sottolineare che «nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore».
Consegnata a conclusione di un anno della fede voluto da Benedetto XVI per ricordare il concilio che provvidenzialmente ha rinnovato la Chiesa, l’esortazione apostolica è un documento eccezionale. Innanzi tutto perché nasce dal cuore del vescovo di Roma, frutto di una esperienza in prima linea e della sua prolungata meditazione sull’urgenza di annunciare il Vangelo nel mondo di oggi. Il contenuto e lo stile inconfondibili di Papa Francesco caratterizzano infatti il testo e attirano chi lo legge.
Nelle pagine iniziali il Pontefice ricorda certo il sinodo sulla “nuova evangelizzazione” e dichiara di raccoglierne la ricchezza, ma il documento — che peraltro non reca la specifica “post-sinodale”, quasi a sottolinearne l’origine personale — ne esprime le preoccupazioni «in questo momento concreto dell’opera evangelizzatrice della Chiesa». Anche se «non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori» e bisogna invece «procedere in una salutare “decentralizzazione”».
Il vescovo di Roma afferma di non aver avuto l’intenzione di scrivere un trattato teorico, ma di «mostrare l’importante incidenza pratica» degli argomenti toccati dal testo. Con uno scopo ben preciso: aiutare a «delineare un determinato stile evangelizzatore» che Papa Francesco invita ad assumere «in ogni attività che si realizzi». Uno stile che si può rappresentare nell’immagine di una Chiesa che sia davvero aperta: per annunciare il Vangelo accompagnando l’umanità di oggi «in tutti i suoi processi, per quanto duri e lunghi possano essere».
E colpisce la prosa coinvolgente di questa magna charta per la Chiesa di oggi, testo che dichiara esplicitamente di avere «un significato programmatico e dalle conseguenze importanti»; perché non è possibile «lasciare le cose come stanno» e occorre costituirsi in uno «stato permanente di missione». Con lo scopo, implorato nella preghiera finale alla Vergine, di «cercare nuove strade perché giunga a tutti il dono della bellezza che non si spegne».
L'Osservatore Romano, 27 novembre 2013.

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Evangelii gaudium, un manuale pastorale e il ritorno di alcuni temi postconciliari

di A. Ambrogetti
Un testo personale scritto dopo il viaggio a Rio de Janeiro. La Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium è un ponderoso testo di circa 250 pagine, scritte in spagnolo da Papa Francesco. Una summa di quello che il Papa ha detto in questi nove mesi di pontificato, a partire da molti dei pensieri che Francesco ha ricordaro nelle omelie del mattino nella messa privata a Santa Marta. Pastoralità latinoamericana tipica di quella “teologia pastorale urbana” dell’ Argentina che Bergoglio ha praticato e seguito per anni come cardinale di Buenos Aires.Non sono idee nuove o rivoluzionarie, piuttosto si tratta di un manuale di pastorale che potrà essere utile nelle parrocchie.
Una delle vere novità è l’attenzione alle conferenze episcopali e quindi delle modalità dell’esercizio del Ministero Petrino. Il Papa dice che manca una vera applicazione della collegialità in questo ambito e scrive: “Non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle Conferenze Episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale”. Il Papa fa riferimento al Motu proprio di Giovanni Paolo II Apostolo suos, ma poi non approfondisce il tema. Forse per proporne il dibattito ai fedeli.
Da qui sicuramente verrano i dibattiti più accesi. Che si intende infatti per “autorità dottrinale”? E quali gli ambiti della dottrina che possono essere “gestiti” a livello di Conferenza episcopale?
Sono temi lasciati aperti e che dovranno essere approfonditi anche per quanto riguarda l’esercizio collegiale del Ministero Petrino.
Il testo pontificio va oltre il tema della Nuova Evangelizzazione e tocca un po’ tutti i temi della vita sociale del cristiano. Il filo rosso del testo è la missionarietà, l’uscire da se stessi per andare verso il resto del mondo.
Un tipo di lavoro che la Chiesa deve affrontare con una conversione alla pastoralità, senza indulgere in burocraticismi.
Il Papa usa un linguaggio a volte vivace a volte un po’ difficile con riferimenti a filosofie e teologie degli anni dell’immediato post Concilio, ma c’è davvero argomentazione per tutti.
Il Papa, ha ricordato Rino Fisichella, “indugia in espressioni ad effetto e crea neologismi per far cogliere la natura stessa dell’azione evangelizzatrice.”
Nel testo c’è spazio per i Sacramenti, per il dialogo ecumenico, per i problemi della povertà, per la pietà popolare, per la liturgia, per i problemi sociali.
I principi dottrinali rimangono quelli di sempre, ma si amplia l’area di interesse e il Papa guarda al sociale e alla società partendo dal basso.
Significativo anche lo spazio dedicato ad una vera “pastorale dello Spirito Santo” anche questo originario della teologia latinoamericana che affronta la aggressività delle sette con una attenta rilettura proprio dello Spirito.
Molte le citazioni dei documenti delle varie conferenze episcopali nel mondo.
Il Papa riporta nella Costituzione i temi principali del documento di Apericida, da lui preparato alla concusione della assemblea del 2007, e ritorna a mettere in guardia dal pericolo dello gnosticismo e del pelagianismo.
Ci sono nel testo alcuni passaggi che potranno essere “usati” per sostenere tesi che il Papa non presenta. Come il passaggio dedicato al Sacramento dell’ Eucaristia.
Tra le molte indicazioni pastorali anche una speciale per la attenzione alla omelia nelle messe. Un tema che era stato trattato nel Sinodo sulla Parola di Dio e che il Papa approfondisce e amplia.
Significativo anche che il Papa ricordi come la attività missionaria del cristiano non deve essere timida, e ricorda che l’identità cristiana è la strada per una vera evangelizzazione.
Nel testo ci sono gli echi dei tempi più classici del Concilio, dalla inculturazione alla opzione per i poveri del Documento di Puebla e della Populorum progressio e anche la Deus Carits est con la sua attenzione al compito della Chiesa che “non può nè deve rimanere ai marigini della lotta per la giustizia”.
Il testo è chiaramente rivolto ai cristiani, non “a tutti gli uomini di buona voltà”, un testo ad intra che serve un po’ da manuale per le comunità e apre anche spazio al dibattito su temi che da decenni vengono usati all’interno della Chiesa cattolica per cercare di “forzare” il Vangelo.
Una nota sui media. Il Papa non esita ad affermare che: “ Nel mondo di oggi, con la velocità delle comunicazioni e la selezione interessata dei contenuti operata dai media, il messaggio che annunciamo corre più che mai il rischio di apparire mutilato e ridotto ad alcuni suoi aspetti secondari”.
Insomma il pericolo, come quello del progresso tecnologico, è quello di rendere tutto superficiale e mal interpretato.
Per il Papa quindi il rischio della “secolarizzione” c’è ed è fortissima e dipende in gran parte dalla mancanza di formazione religiosa, ma anche dalla mancanza di veri rapporti, di una vera cultura dell’ incontro, di una pastorale “che scaldi il cuore”.
Colpa del clero o dei laici? La lettura del voluminoso testo del Papa che riassume i temi di sempre e ripropone interrgativi non ancora risolti è quanto meno una occasione per un buon esame di coscienza.

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#EvangeliiGaudium di Papa Francesco: "Stupefacente" per Twitter

Il documento pontificio trending topic dopo la pubblicazione

Roma, 26 nov. (TMNews) - Commenti entusiasti (e qualche ironia) su Twitter per la nuova esortazione apostolica "Evangelii Gaudium" di Papa Francesco, pubblicata oggi e diventata subito trending topic sul social network di microblogging.

Antonio Spadaro, direttore de "La Civiltà Cattolica", ha twittato alcuni passi del documento relativi al Concilio Vaticano II: #EvangeliiGaudium "Il Concilio Vaticano II ha presentato la conversione ecclesiale come l'apertura a una permanente riforma di sé" (26). "Il Concilio Vaticano II ha affermato che esiste una "gerarchia" delle verità nella dottrina cattolica" (36)". "Il Concilio Vaticano II ha affermato che le Conf. episcopali possono portare un contributo al senso di collegialità (32)". E Massimo Faggioli, studioso italiano che insegna negli Stati Uniti, ha sua volta sottolineato: "#Francis #EvangeliiGaudium is a rehabilitation of Vatican II, but also and especially of post-conciliar theology. Adieu to the culture wars" (#Francesco #EvangeliiGaudium è una riabilitazione del Vaticano II, ma è anche e soprattutto una teologia post-conciliare. Addio alle guerre culturali").

Giovanni Tridente, che sul suo profilo si presenta come "cattolico romano, giornalista, comunicatore istituzionale, docente", ha espresso in un tweet il suo entusiasmo per il Papa e ha consigliato a tutti di leggere il suo testo: "Il mio titolo per #EvangeliiGaudium: scuola di umanità! #PapaFrancesco ci insegna a vivere bene e con #gioia #leggetela #èstupefacente". "Aperta, audace, creativa, in cammino, in permanente conversione. È la Chiesa di #PapaFrancesco. #EvangeliiGaudium" ha scritto invece Alessandro Gisotti, vice-caporedattore di Radio Vaticana. Per Bruno Mastroianni, giornalista esperto di comunicazione sociale e della chiesa, la Evangelii Gaudium "è una lettura liberatoria. Ve la twitterò tutto il giorno".

Padre Fabian Baez, sacerdote di Buenos Aires, ha invece commentato: "En el GRAN discurso del #PapaFrancisco a los obispos del Celam en Rio, está el núcleo de #EvangeliiGaudium Importantisimo documento" ("Nel grande discorso di #PapaFrancisco ai vescovi del Celam a Rio, c'è il nucleo dell'#EvangeliiGaudium. Importantissimo documento").

Non mancano comunque anche commenti ironici. C'è chi si chiede se Papa Francesco con la sua esortazioni non possa "proprio candidarsi alle primarie del Pd", oppure, dagli Stati Uniti, c'è chi chiede di poter vedere la faccia di Sarah Palin, icona della destra americana, quando legge la Evangelii Gaudium.

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Nuovo tweet del Papa: "La Chiesa è missionaria. Cristo ci invia a portare la gioia del Vangelo a tutto il mondo." (26 novembre 2013)

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FILE: Evangelii Gaudium PAPA FRANCESCO 


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Francesco: così la gioia del Vangelo può riformare la Chiesa


Da dove viene e quale strada indica l’esortazione apostolica «Evangelii Gaudium» che viene pubblicata oggi. Eccone i principali contenuti

GIANNI VALENTE



Poteva essere una «semplice» esortazione apostolica post- sinodale, come tante altre. Papa Francesco ne ha fatto un documento-chiave del suo pontificato. La road map che suggerisce le «vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni» . Quasi la profezia di un rinnovamento profondo proposto a tutti i cristiani. Un testo operativo, impetuoso, destinato a scuotere tutte le istanze e a tutte le dinamiche della compagine ecclesiale, con l’invito pressante a emanciparsi da tutto ciò che fa velo alla missione di annunciare il cuore palpitante del Vangelo tra gli uomini d’oggi, così come sono.

All’inizio di tutto c’è la gioia del Vangelo. O meglio, la «alegrìa del Evangelio», come è intitolata la versione originale in castigliano. «La gioia del Vangelo» si legge nelle prime righe dell’esortazione «riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia». Mentre «il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice e opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata». Anche molti credenti cadono in questo rischio, «e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita». Mentre «quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte».

Sperimentare e proporre agli altri la salvezza gioiosa donata da Cristo risorto e i mezzi di cui Lui si serve è  la vocazione di tutti i cristiani e la ragion d’essere propria della Chiesa. L’esperienza dell’incontro personale con Cristo è «la sorgente dell’azione evangelizzatrice». Se qualcuno «ha accolto questo amore che gli ridona il senso della vita» chiede Papa Bergoglio «come può contenere il desiderio di comunicarlo agli altri?». Per questo l’evangelizzazione non può mai essere intesa come «un eroico compito personale, giacché l’opera è prima di tutto sua (…). Gesù è “il primo e il più grande evangelizzatore”. In qualunque forma di evangelizzazione il primato è sempre di Dio» .

Se la missione propria dei cristiani è quella di annunciare la gioia del Vangelo, lo scopo configura  anche le forme e i modi in cui essa avviene. Tutti «hanno il diritto di ricevere il Vangelo». Per questo – scrive Papa Francesco - «i cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proselitismo ma “per attrazione”». Quella del vangelo è una gioia missionaria «che ha sempre la dinamica dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare di nuovo, sempre oltre». La comunità evangelizzatrice si immerge «nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario», Essa «accompagna l’umanità in tutti i suoi processi, per quanto duri e prolungati possano essere. Conosce le lunghe attese e la sopportazione apostolica. Si prende cura del grano e non perde la pace a causa della zizzania».

L’intento dichiarato dell’esortazione apostolica è «proporre alcune linee che possano incoraggiare e orientare in tutta la Chiesa una nuova tappa evangelizzatrice, piena di fervore e dinamismo». In questo percorso proposto a tutti – premette l’attuale vescovo di Roma - «non è opportuno che il Papa sostituisca gli episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare “decentralizzazione». Nondimeno, la «trasformazione missionaria della Chiesa» prefigurata dal Bergoglio passa attraverso un rinnovamento ecclesiale definito «improrogabile». Si tratta di avventurarsi con tutta la Chiesa «in una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno. Ora non ci serve una “semplice amministrazione”. Costituiamoci in tutte le regioni della terra in uno “stato permanente di missione”».

Il criterio guida del rinnovamento non è una particolare teologia o linea di pensiero ecclesiale, ma «una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione».

La pastorale ordinaria, le parrocchie, i movimenti, la gerarchia sono invitati a porsi atteggiamento di “uscita”. Lo stesso esercizio del ministro petrino, secondo Papa Francesco, viene coinvolto nel dinamismo del rinnovamento “in chiave missionaria”: Bergoglio annuncia anche una «conversione del papato», per renderlo «più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione». E parla dell'intenzione di decentralizzare, valorizzando le conferenze episcopali e attribuendo loro «anche qualche autentica autorità dottrinale» dato che «un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria».
GERARCHIA DELLE VERITA’
Avendo come punti cardinali la Costituzione conciliare Lumen Gentium sulla natura della Chiesa, i testi montiniani «Ecclesiam Suam» ed «Evangelii Nuntiandi» e il documento di Aparecida, la road map proposta da Bergoglio si concentra su alcuni punti nevralgici.

Secondo Papa Francesco occorre riformulare il modo in cui si porge l’annuncio evangelico. Viene ad esempio messo in discussione un interventismo ecclesial-mediatico focalizzato sulle questioni morali. Con la selezione interessata dei contenuti solitamente operata dai media, «il messaggio che annunciamo corre più che mai il rischio di apparire mutilato e ridotto ad alcuni suoi aspetti secondari». Ciò accade quando questioni che fanno parte dell’insegnamento morale della Chiesa vengono continuamente proposte «fuori del contesto che dà loro senso». 

Secondo Papa Francesco, lo sguardo sull’agire morale non può prescindere dalla luce propria della vita illuminata dal vangelo. Una pastorale in chiave missionaria «non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere. Quando si assume un obiettivo pastorale e uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti senza eccezioni né esclusioni, l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario». Citando san Tommaso, il Papa ripete che sul terreno specifico dell’agire esteriore, la più grande delle virtù morali per l’intelligenza umana illuminata dalla fede è la misericordia. Inoltre, la missione di annunciare a tutti la gioia del Vangelo si incarna nei limiti umani, tiene conto della condizione in cui vivono gli uomini, segnata dal peccato originale e dal flusso di condizionamenti in cui viviamo immersi.

«Ci sono norme o precetti ecclesiali» riconosce il Papa «che possono essere stati molto efficaci in altre epoche», ma che non hanno più la stessa forza educativa come canali di vita. San Tommaso d’Aquino sottolineava che i precetti dati da Cristo e dagli Apostoli al popolo di Dio «sono pochissimi». Inoltre, occorre «accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno. Ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile. Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà».

NO ALLA DOGANA SACRAMENTALE
La Chiesa – spiega Papa Bergoglio – si presenta al mondo come «una Madre con le braccia aperte». Tra i segni di questa apertura c’è anche quello di lasciare materialmente aperte le porte delle chiese e dei luoghi di preghiera. Ma secondo il Papa «nemmeno le porte dei sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi». Questo vale ovviamente per il battesimo. Ma anche l’eucaristia – aggiunge il Papa - «non è il premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli.  Queste convinzioni – sottolinea l’esortazione papale, con parole riferibili anche alla condizione di molti divorziati risposati - hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa».

LE TENTAZIONI DEGLI «OPERATORI PASTORALI»
Nel suo richiamo alla conversione missionaria della Chiesa, Papa Francesco espone una dettagliata sintomatologia della auto-referenzialità dove è facile scorgere ripiegamenti e derive che hanno segnato anche le stagioni ecclesiali più recenti, sotto «l’influsso della cultura attuale globalizzata». Si va dalla «accidia paralizzante» che accomuna persone consacrate e laici al «pessimismo sterile» che Bergoglio indica riattualizzando le parole di Giovanni XXIII sui profeti di sventura, quelli che «nelle attuali condizioni della società umana non sono capaci di vedere altro che rovine e guai». La radice dei peggiori mali che affliggono la Chiesa viene di nuovo individuata da Francesco nella «mondanità spirituale, che si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa, e consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana ed il benessere personale».

A tale atteggiamento Bergoglio riconduce anche le nuove espressioni di un mai spento gnosticismo, o il neopelagianesimo «di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato». Le parole del Papa affondano come lame nei surrogati di vita ecclesiale prodotti dalla «vanagloria di coloro che si accontentano di avere qualche potere e preferiscono essere generali di eserciti sconfitti piuttosto che semplici soldati di uno squadrone che continua a combattere», sognando «piani apostolici espansionisti, meticolosi e ben disegnati, tipici dei generali sconfitti».

Una mondanità asfissiante, nascosta sotto «drappeggi spirituali e pastorali», che si sana solo «assaporando l’aria pura dello Spirito Santo».

Bergoglio cita il clericalismo che penalizza i laici, mantenendoli «al margine delle decisioni» o assorbendoli in «compiti intraecclesiali senza un reale impegno per l’applicazione del Vangelo alla trasformazione della società». E riconosce che le rivendicazioni dei diritti delle donne «pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere». Il sacerdozio riservato agli uomini «è una questione che non si pone in discussione, ma può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere».


UNA CHIESA «PLURALE»
Davanti a questi scenari, Bergoglio ribadisce che la missione evangelizzatrice non è questione di addetti ai lavori o di «truppe» scelte. A annunciare la gioia del Vangelo è tutto il Popolo santo di Dio, «santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile “in credendo”». Un «popolo dai mille volti» raccolto dalla grazia di Cristo, e non in forza di omologazioni culturali. L’annuncio cristiano – riconosce Papa Francesco – non si identifica in nessuna cultura, neanche con quelle «che sono state strettamente legate alla predicazione del Vangelo e allo sviluppo di un pensiero cristiano». Per questo «Non possiamo pretendere che tutti i popoli di tutti i continenti, nell’esprimere la fede cristiana, imitino le modalità adottate dai popoli europei in un determinato momento della storia, perché la fede non può chiudersi dentro i confini della comprensione e dell’espressione di una cultura particolare».

EMERGENZA OMELIA
Riguardo alle forme primarie con cui si trasmette l’annuncio evangelico, Papa Francesco valorizza la via della devozione popolare, con cui il popolo «evangelizza se stesso» esprimendo il suo affetto a Gesù, alla vergine Maria e ai santi. Poi, il Vescovo di Roma, segnalando un punto di sofferenza, dedica ben 23 paragrafi in diciotto pagine a uno strumento ordinario della predicazione, quello delle omelie durante la messa. Secondo Francesco l’omelia «deve essere breve ed evitare di sembrare una conferenza o una lezione». La predicazione «puramente moralista o indottrinante, ed anche quella che si trasforma in una lezione di esegesi, riducono questa comunicazione tra i cuori che si dà nell’omelia e che deve avere un carattere quasi sacramentale» .

Nell’omelia, come nella catechesi – suggerisce Bergoglio – deve sempre essere annunciato o richiamato il cuore dell’annuncio cristiano: «Il primo annuncio o Kerigma, deve continuare a risuonare sempre nella bocca di colui che confessa la fede cristiana». Esso «viene prima di ogni all’obbligazione morale e religiosa, e viene ripetuto costantemente, come un tesoro inesauribile che si continua a scoprire».


FEDE E IMPEGNO SOCIALE
Secondo Papa Francesco, la missione evangelizzatrice risulta sfigurata se non si coglie o si depotenzia «l’indissolubile legame tra l’accoglienza dell’annuncio salvifico e un effettivo amore fraterno». Parole che archiviano le dialettiche fallaci di quanti anche in anni recenti insistevano strumentalmente sul rischio di «ridurre» la missione dell’annuncio alle attività di promozione sociale. L’opzione preferenziale per i poveri viene riaffermata senza tentennamenti come un tratto non occultabile dell’amore di Cristo per gli uomini raccontato dal Vangelo. Non ascoltare il grido del povero vuol dire porsi «fuori dalla volontà del Padre». Si tratta di una «preferenza divina che ha una conseguenza nella vita di fede di tutti i cristiani, chiamati ad avere “gli stessi sentimenti di Gesù”».

Francesco inserisce nell’esortazione giudizi non generici sull’«idolatria» dell’economia speculativa e sulle dinamiche che condizionano lo sviluppo e producono povertà: «Dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa economia uccide». Invita a non confidare «nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato», in scelte economiche presentate come «rimedi» e che invece «sono un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività riducendo il mercato del lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi». L’opzione evangelica dei poveri è geneticamente lontana «da qualsiasi ideologia, da qualunque intento di utilizzare i poveri al servizio di interessi personali o politici». In senso lato, tra i poveri ci sono tutti gli indifesi, gli esclusi, i deboli di cui la Chiesa è chiamata a prendersi cura con predilezione. Tra questi Papa Bergoglio colloca anche i nascituri, «che sono i più indifesi e innocenti di tutti». La difesa dei nascituri viene collegata da Papa Francesco alla difesa di qualsiasi diritto umano che riconosce ogni essere umano come sacro e inviolabile. «Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana». Nel contempo, il Papa riconosce che «abbiamo fatto poco per accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni molto dure, dove l’aborto si presenta loro come una rapida soluzione alle loro profonde angustie».


LA «VERTIGINE» DELLA GRAZIA
Dopo aver tratteggiato l’immenso campo di lavoro della «conversione missionaria» a cui è chiamata la Chiesa, Francesco, nella parte finale dell’esortazione – che si conclude con una preghiera a Maria - ritorna sulle sole sorgenti che possono muovere e alimentare l’uscita dall’autoreferenzialità. Un avventurarsi in terre incognite, che contiene una connotazione di «vertigine» nell’essere sospesi all’operare di Cristo Redentore e del suo Spirito. Nella vicenda della Chiesa, fin dai tempi di Gesù, è lo Spirito che «fa uscire gli Apostoli da se stessi e li trasforma in annunciatori delle grandezze di Dio». Il vero missionario, «che non smette mai di essere discepolo, sa che Gesù cammina con lui, parla con lui, respira con lui, lavora con lui. Sente Gesù vivo insieme con lui nel mezzo dell’impegno missionario». La missione non è «un affare o un progetto aziendale», non è «uno spettacolo per contare quanta gente vi ha partecipato grazie alla nostra propaganda».

Proprio l’essere sospesi alla grazia «può procurarci una certa vertigine: è come immergersi in un mare dove non sappiamo che cosa incontreremo. Io stesso l’ho sperimentato tante volte. Tuttavia» rassicura Papa Francesco «non c’è maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera».



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Una «conversione pastorale» richiesta a tutta la Chiesa




È quanto emerge dall'esortazione «Evangelii gaudium», che rappresenta il documento programmatico del pontificato


ANDREA TORNIELLI




«Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione». È questo il «sogno» di Papa Francesco, che con l'esortazione apostolica «Evangelii gaudium» chiede a tutti i credenti di «uscire» e indica a tutta la Chiesa la via di quella «conversione pastorale» che in questi primi mesi di pontificato con la sua testimonianza e predicazione ha cercato di mostrare.

«La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia».

C'è tutto Francesco in questo documento, quasi un'enciclica, al quale il Papa ha lavorato a lungo durante l'estate. Ma c'è anche molto delle suggestioni e dei riferimenti ricevuti dal lavoro dei padri sinodali riunitisi a Roma nell'ottobre 2012 per affrontare il tema della nuova evangelizzazione. Nell'esortazione, sono citati molti documenti delle conferenze episcopali dei vari Continenti, a partire da quello, fondamentale, di Aparecida: quasi l'anticipazione di una prospettiva che Bergoglio intende attuare, valorizzando il contributo delle Chiese locali e al tempo stesso decentrando funzioni e poteri.

In «Evangelii gaudium» si ritrovano molti degli accenti e degli spunti che hanno caratterizzato i primi mesi del pontificato. Il Papa, accennando al tema dell'aborto ribadisce che la vita umana è sacra, e «non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana». Come pure ribadisce il no della Chiesa all'ordinazione delle donne prete, propugnato da chi individua nell'ordine sacro un «potere» e vorrebbe «clericalizzare» le donne (un'ottica presente anche in un certo dibattito sulle «cardinalesse»). Al tempo stesso Francesco ribadisce la linea fin qui da lui seguita - e criticata da chi auspica una Chiesa barricadera e tutta law & order - di non essere insistente nel predicare sui cosiddetti «valori non negoziabili», quasi che questi sostituissero il «kerygma», il cuore dell'annuncio e della proposta evangelica. La pastorale missionaria proposta da Bergoglio «non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere», ma nel suo annuncio «si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario».

Un altro significativo accenno è quello riguardante la Chiesa che non deve mai trasformarsi in dogana, ma la casa paterna «dove c'è posto per ciascuno con la sua vita faticosa». Le «porte dei sacramenti» non si devono chiudere. Francesco parla del battesimo, ma anche dell'eucaristia, che - spiega citando sant'Ambrogio - «non è il premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli». Una convinzione che ha «conseguenze pastorali», e che può essere riferita anche alla riflessione e all'approfondimento sul tema dei divorziati risposati. Un argomento aperto, sul quale discuterà il Sinodo dei vescovi, con buona pace dei «doganieri» intenti a mettere il filo spinato attorno alla Chiesa «ospedale da campo» sognata dal Pontefice.

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Il decentramento di Francesco: più poteri alle conferenze episcopali

Un paragrafo dell'esortazione «Evangelii gaudium» preannuncia cambiamenti e la «conversione del papato»: la centralizzazione «complica» e non aiuta la missione

ANDREA TORNIELLI

È un paragrafo breve, ma preannuncia cambiamenti significativi, che riguardano lo stesso papato e prevedono decentramento e maggiori competenze per le conferenze episcopali. Al numero 32 del documento reso noto oggi, Bergoglio, riferendosi alla «conversione pastorale» da lui chiesta a tutta la Chiesa, scrive: «Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato».

«A me spetta, come vescovo di Roma - aggiunge Francesco - rimanere aperto ai suggerimenti orientati ad un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione». Bergoglio ricorda che Papa Wojtyla, nell'enciclica «Ut unum sint» (1995) chiese di essere aiutato a trovare «una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova». Ma, osserva Francesco, «siamo avanzati poco in questo senso. Anche il papato e le strutture centrali della Chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l’appello ad una conversione pastorale. Il Concilio Vaticano II ha affermato che, in modo analogo alle antiche Chiese patriarcali, le conferenze episcopali possono "portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente»".

Ma anche questo auspicio conciliare, osserva il Papa, «non si è pienamente realizzato, perché ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale. Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria».

Ci si può dunque aspettare che tra le riforme che verranno studiate da parte del consiglio dei otto cardinali si preveda anche un ruolo accresciuto delle conferenze episcopali. Già il Sinodo dei vescovi del 1985 aveva avanzato la raccomandazione che fosse più ampiamente e profondamente esplicitato lo studio dello status teologico e giuridico delle conferenze dei vescovi e soprattutto il problema della loro autorità dottrinale.  Attualmente il Codice di diritto canonico stabilisce alcune competenze dottrinali delle conferenze episcopali, come il «curare che vengano pubblicati catechismi per il proprio territorio, previa approvazione della Sede Apostolica», e l'approvazione delle edizioni dei libri delle sacre Scritture e delle loro versioni.

Nel 1998, con il Motu proprio «Apostolos suos», Giovanni Paolo II aveva ricordato che le conferenze episcopali vanno considerate nel quadro dell'intero collegio dei vescovi, e che esse non sono soggetto collegiale del governo delle Chiese particolari né istanza intermedia tra i singoli vescovi e l'intero collegio episcopale.

Ora Francesco afferma di voler compiere un passo in più nella direzione del decentramento. A questo il Papa aveva accennato anche nell'intervista con «La Civiltà Cattolica». «I dicasteri romani - aveva detto - sono al servizio del Papa e dei vescovi: devono aiutare sia le Chiese particolari sia le conferenze episcopali. Sono meccanismi di aiuto. In alcuni casi, quando non sono bene intesi, invece, corrono il rischio di diventare organismi di censura. È impressionante vedere le denunce di mancanza di ortodossia che arrivano a Roma. Credo che i casi debbano essere studiati dalle conferenze episcopali locali, alle quali può arrivare un valido aiuto da Roma. I casi, infatti, si trattano meglio sul posto. I dicasteri romani sono mediatori, non intermediari o gestori».

S'intravvede qui il disegno di riformare la Curia romana, rendendola meno burocratica e più snella, ma soprattutto configurandola come strumento al servizio del Papa e delle Chiese, non come organismo centrale di controllo e di governo. Per realizzare questo, oltre ad accorpare i dicasteri esistenti, si trasferiranno competenze dal centro agli episcopati locali.

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da VinoNuovo.it
di Aldo Maria Valli | 26 novembre 2013 

Non imprigionare Gesù in «schemi noiosi» o «pessimismo sterile», ma «porte aperte» a tutti: la missione nell'esortazione apostolica di Francesco
"La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù": inizia così l'Evangelii gaudium, con cui papa Francesco affronta il tema dell'annuncio del Vangelo nel mondo di oggi. É un appello a tutti i battezzati, senza distinzioni di ruolo, perché portino agli altri l'amore di Gesù in uno "stato permanente di missione" (25), vincendo "il grande rischio del mondo attuale": quello di cadere in "una tristezza individualista" (2).
Il papa invita a "recuperare la freschezza originale del Vangelo" Gesù non va imprigionato entro "schemi noiosi" (11). Occorre "una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno" (25) e una riforma delle strutture ecclesiali perché "diventino tutte più missionarie" (27). Su questo piano Francesco si mette in gioco in prima persona. Pensa, infatti, anche a "una conversione del papato" perché sia "più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell'evangelizzazione".
Il ruolo delle Conferenze episcopali è da valorizzare realizzando concretamente quel "senso di collegialità" che finora non si è ancora pienamente concretizzato (32). Più che mai necessaria è "una salutare decentralizzazione" (16) e in questa opera di rinnovamento non bisogna aver timore di rivedere consuetudini della Chiesa "non direttamente legate al nucleo del Vangelo" (43).
Il verbo messo al centro della riflessione è "uscire". Le chiese abbiano ovunque "le porte aperte" perché tutti coloro che sono in ricerca non incontrino "la freddezza di una porta chiusa". Nemmeno le porte dei sacramenti si dovrebbero mai chiudere. L'eucaristia stessa "non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli". Il che determina "anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia". (47). Molto meglio una Chiesa ferita e sporca, uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa prigioniera di se stessa. Non si abbia paura di lasciarsi inquietare dal fatto che tanti fratelli vivono senza l'amicizia di Gesù (49).
Su questa via la minaccia più grande è quel "grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando" (83). Non ci si lasci prendere da un "pessimismo sterile" (84). Il cristiano sia sempre segno di speranza (86) attraverso la "rivoluzione della tenerezza" (88).
Francesco non nasconde il dissenso verso quanti "si sentono superiori agli altri" perché "irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato" e "invece di evangelizzare classificano gli altri". Netto è anche il giudizio negativo verso coloro che hanno una "cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo" nei bisogni della gente. (95). Questa "è una tremenda corruzione con apparenza di bene... Dio ci liberi da una Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali!" (97).
La predicazione ha un ruolo fondamentale. Le omelie siano brevi e non abbiano il tono della lezione (138). Chi predica parli ai cuori, evitando il moralismo e l'indottrinamento (142). Il predicatore che non si prepara "è disonesto ed irresponsabile" (145). La predicazione offra "sempre speranza" e non lasci "prigionieri della negatività" (159).
Le comunità ecclesiali si guardino da invidie e gelosie. "Chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti?" (100). Di fondamentale importanza è far crescere la responsabilità dei laici, finora tenuti "al margine delle decisioni" a causa di "un eccessivo clericalismo" (102). Importante è anche "allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa", in particolare "nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti" (103). Di fronte alla scarsità di vocazioni, "non si possono riempire i seminari sulla base di qualunque tipo di motivazione" (107).
Oltre a essere povera e per i poveri, la Chiesa voluta da Francesco è coraggiosa nel denunciare l'attuale sistema economico, "ingiusto alla radice" (59). Come disse Giovanni Paolo II, la Chiesa "non può né deve rimanere al margine della lotta per la giustizia" (183).
L'ecumenismo è "una via imprescindibile dell'evangelizzazione". Dagli altri c'è sempre da imparare. Per esempio "nel dialogo con i fratelli ortodossi, noi cattolici abbiamo la possibilità di imparare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro esperienza della sinodalità" (246). Il dialogo interreligioso è a sua volta "una condizione necessaria per la pace nel mondo" e non oscura l'evangelizzazione (250-251).

Nel rapporto col mondo il cristiano dia sempre ragione della propria speranza, ma non come un nemico che punta il dito e condanna (271). "Può essere missionario solo chi si sente bene nel cercare il bene del prossimo, chi desidera la felicità degli altri" (272). "Se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita" (274).


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(Matteo Matzuzzi) E’ molto più di un’enciclica, l’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” – la prima di Francesco – resa nota oggi dalla Santa Sede. Basta sfogliarla rapidamente per riconoscere che la mano, stavolta, è proprio quella di Bergoglio. Un testo denso, molto lungo (...)

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La Repubblica.it
"Oggi dobbiamo dire no a un'economia dell'esclusione e della inequità. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione". (...)

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